Scegliere di fare qualcosa.

Credo che occorra darsi da fare: tra gli effetti più profondi della Pandemia vi è una mutazione culturale che non posso accettare. Non ho alcuna competenza per argomentare sui contesti sanitari tristemente noti e divulgati in quantità imponente giorno dopo giorno; però sono abituato ad avere una percezione della realtà che non si adagia con molta semplicità su quanto viene veicolato dai “media” (ed oggi ancor di più dai “social media”) come senso comune, come strategia contro la Pandemia. Né accetto la faciloneria del negazionismo: il virus c’è, e ha le sue angoscianti caratteristiche di poter essere incurabile e mortale in percentuali che non mi interessano, se piccole o grandi. Anche se piccolissime, il virus c’è, ed occorre combatterlo.

In questo contesto di lotta al virus, mi chiedo perché arte e cultura debbano essere sacrificate alla logica dell’assembramento. Alla logica dell’assembramento si immola la possibilità di vedere il mondo attraverso il filtro dell’intelligenza creativa (arte) e dell’intelligenza storica (cultura). Ma si può dire che sia solo un caso se proprio oggi venga prodotto, in vastissime parti dell’Occidente, un attacco gravissimo ai centri di approfondimento e divulgazione di arte e cultura? Scuole, università, conservatori, anche teatri? E che ciò venga compiuto con una minore o maggiore consapevolezza, anzi: venga compiuto in un range che va dall’inconsapevolezza  dell’individuo addomesticato dai talk show al calcolo millimetrico del comitato governativo di salute pubblica? 

Nei centri di arte e cultura, è gravissima responsabilità di questo governo, e di altri governi dell’Occidente, promulgare politiche di riduzione, se non addirittura di azzeramento, della possibilità di contatti interpersonali: gli unici capaci di far maturare il “sapere” ed il “saper fare” attraverso connessioni immediate, non programmate perché non programmabili,  che hanno merito di porre dialetticamente ed efficacemente in contatto complementare i livelli diversi che si incontrano negli auditorium, nei teatri, nelle aule di conservatori ed università, nelle scuole. In quelle attività, oggi dette “in presenza”, che poi nient’altro sono che la realtà, si può parlare di “concerto”, attività interagente tra chi esegue e chi ascolta, in cui entrambe le parti sono poste allo stesso livello di importanza e di necessità; si può parlare di “scuola” quando docente e discente comunicano emotivamente tra di loro, e non quando invece esercitino funzioni attive-passive mediate dalla didattica a distanza in entrambi i sensi possibili: la “spiegazione” dell’argomento, docente versus discente, l’”interrogazione” sull’argomento, discente versus docente, perdendo quel presupposto di “totalità” di travaso/approfondimento dei saperi che è distintivo della scuola che rimane nella vita, a fondamento di vere e proprie architetture della psiche.

Quindi, non è un caso che, al centro di questa Pandemia, assistiamo ad un attacco su larga scala contro arte e cultura: perché da decenni vi è un disinteresse della politica, a tutti i livelli, nei confronti di arte e cultura, che ha trovato nella Pandemia un alibi contingente e credibile. Occorre evitare assembramenti! Teatri, aule scolastiche, auditorium, sale, sono luoghi dove è complesso tenere sotto controllo le moltitudini! Chi ha vissuto veramente da vicino gli ultimi quaranta anni accanto a questi problemi, sa perfettamente che non è così, e che non vi è ragione di bloccare concerti e lezioni universitarie in presenza, classi liceali, prove d’orchestra e lezioni di musica da camera: semmai vi è necessità di razionalizzare quelle eccezioni che costituiscono una piccolissima parte del tessuto artistico/culturale, ed impegnarsi per trovare spazi adeguati, idonei ai vari tipi di lavoro e di fruizioni.

Istintivamente ho un marcato rifiuto del concetto di “museo” per come esso è nell’accezione comune, anche quando è necessario individuare un punto di raccolta e tutela della tradizione e dell’antichità (ma anche della contemporaneità). Quel punto di raccolta dovrebbe sottrarsi all’idea di concretizzarsi in un “museo”, un posto dove si mettano al sicuro le opere d’arte del passato e del presente, e si consenta al più o meno interessato sguardo del turista pagante di curiosare tra di esse. Mi piacerebbe che al concetto di “museo” si sostituisse quello di “teatro dell’arte figurativa e plastica”, ossia un vivente luogo di approfondimento di conoscenza e di osservazione critica. I musei di oggi, invece, sembrano prendere vita misteriosa quando di notte, chiusi al pubblico, la luce della luna sfiora le grandi opere d’arte in essi conservate; e risuona nella mia mente l’altrettanto misteriosa Image di Debussy, il cui titolo gli suggerì il suo amico scrittore Louis Laloy: “Et la lune descend sur le temple qui fut”: il museo si colora di quel raggio di luna che, nella solitudine notturna, senza turisti con la Nikon al collo, ridà vita con un fremito alle opere che vennero “dal Tempio che fu”.

Al contrario di quanto sarebbe dovuto essere, i teatri da decenni subiscono una spiccata, anche se per fortuna non totale, “musealizzazione”; e con i teatri anche la scuola, l’università, il conservatorio, in cui la cristallizzazione dei “saperi” e del “saper fare” ha assunto dimensioni eccessive, ed esse sono del tutto contigue agli interessi della didattica a distanza, in perfetto accordo con essa. Per chi ha, come me, un alto concetto di quello che dovrebbe essere il teatro e la “scuola totale” (nel senso espresso in un’intervista di 40 anni fa  dal grande pianista Sviatoslav Richter, una scuola in cui tutti portano la loro esperienza e in cui tutti imparano e insegnano agli altri), tutto questo è INSOPPORTABILE.

Confesso che parlare di queste cose in modo che qualcun altro possa ascoltarle, e cercare di ragionare, e di combattere la virtualizzazione dell’arte su piattaforme informatiche e la didattica a distanza, mi sembra quasi una crociata impossibile: ma non mi sentirei nel giusto, e quindi non mi sentirei bene, se non lo facessi. Forse, anzi, sono in estremo ritardo.

By | 2020-10-25T21:15:47+00:00 October 25th, 2020|Musica Classica, Senza categoria|2 Comments

2 Comments

  1. Stefano De Marco 26 October 2020 at 08:16 - Reply

    Grazie Maestro Maiorca per i tuoi pensieri profondi e totali (anche per chi ama la musica dal CUORE e dalla MENTE)…

  2. Maria Cristina Parise 26 October 2020 at 13:33 - Reply

    Non si può sopportare a lungo una situazione che può essere accettata per un breve periodo…

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